Giovanni Battista Belzoni: l’orgoglio di Padova e del Museo Civico Archeologico

Tanta passione traspare dalle parole della dottoressa Francesca Veronese, ma anche rammarico per la complessa situazione che il Coronavirus ha creato. Soprattutto alla mostra “L’Egitto di Belzoni”, allestita ad ottobre 2019 a Padova. Egittolizzando, in collaborazione con anubi.org, ha raggiunto la dottoressa Veronese che, come conservatrice del Museo Civico Archeologico di Padova, ci ha parlato della collezione e dei progetti futuri in programma.

Di Elena Cappannella

Giovanni Battista Belzoni è stato un esploratore che, nel corso dei suoi tre viaggi in Egitto, ha effettuato delle scoperte fondamentali per l’Egittologia.

Era un italiano; di più, era originario di Padova, dove è presente il Museo Archeologico Civico, con splendidi oggetti legati proprio a questo eccezionale personaggio.

Egittolizzando, in collaborazione con anubi.org, ha raggiunto telefonicamente la conservatrice del Museo, la dottoressa Francesca Veronese, la quale ci ha parlato non solo della collezione egizia, ma anche dell’esploratore padovano, orgoglio della città di Padova.

  1. Dottoressa Veronese, lei è la conservatrice del Museo Civico Archeologico di Padova. Potrebbe descriverci il suo lavoro?

Il conservatore è il direttore scientifico di un museo, quindi colui che si occupa della conservazione dei materiali, ma anche dei rapporti con le altre istituzioni e gli altri studiosi; naturalmente, tutto da un punto di vista prevalentemente scientifico.

In genere, il conservatore è formato rispetto alla collezione di cui si deve occupare. Mentre per esempio, uno storico dell’arte si occupa di quadri, di oggetti d’arte, un archeologo si occupa di reperti archeologici e, quindi, di musei archeologici.

Io sono un archeologa e mi occupo, dal punto di vista scientifico, del Museo Civico Archeologico di Padova.

  • Come nasce e come è allestita, oggi, la sezione egizia del Museo Archeologico di Padova?

La collezione egizia è costituita circa da 200 reperti.

Non è enorme però copre un po’ tutto il periodo di evoluzione della cultura faraonica, dalla fase pre-dinastica fino alla fase copta.

Sono diversi secoli e, naturalmente, ciascun periodo è rappresentato da pochissimi oggetti; in compenso, ha una serie di pannelli che aiutano a completare la lettura.

Una collezione che, nel suo piccolo, è abbastanza conosciuta dagli studiosi e, soprattutto, molto visitata dalle scuole.

Lo studio degli Egizi si fa durante il percorso scolastico e quindi le scuole di Padova e provincia, ma a volte anche scuole da luoghi più lontani, vengono a vedere la collezione egizia del Museo Civico di Padova.

Alcuni pezzi sono legati alla figura di Giovanni Battista Belzoni, esploratore padovano che, quindi, è un po’ un orgoglio della città di Padova.

Tra questi pezzi sono in particolare due statue di Sekhmet ad aver grande rilevanza. Sekhmet è una divinità femminile con la testa di leone, che nel mondo egizio era molto venerata; queste due statue di Sekhmet campeggiano in una delle due sale del Museo.

Vediamo così come si presenta la collezione.

E’ esposta in due sale, che si visitano con facilità: una legata principalmente alla figura di Belzoni e l’altra al mondo funerario, ma non solo.

Nella sala Belzoni oltretutto c’è una postazione multimediale, facilmente consultabile con una navigazione touch screen che racconta principalmente la vita del padovano: la nascita di questo personaggio, la sua esplosione come figura di esploratore (che avviene intorno al 1815) ed infine le scoperte in Egitto nell’ambito dei tre viaggi che lo hanno poi reso un personaggio famoso.

  • Potrebbe dirci come sono giunte a Padova le due statue di Sekhmet e come sono legate alla figura di Giovanni Battista Belzoni?

Le due statue di Sekhmet, citate in precedenza, sono proprio un regalo dell’esploratore.

Al Museo è anche esposta la lettera di accompagnamento con cui Belzoni donava alla città due tra le più belle statue di Sekhmet tra quelle da lui trovate a Tebe, nell’area del tempio di Mut.

E’ proprio lui che decide, per amore della città a cui è sempre rimasto legato, nonostante fisicamente a Padova sia stato poco (in città ha però sempre avuto la sua famiglia, quindi per lui è un punto di riferimento), di donare queste due statue.

Quindi, fa proprio una scelta fra quelle da lui trovate; le due più belle preferisce mandarle a Padova.

Questa lettera che accompagna il dono, fatto nel 1819, è esposta in Museo accanto alle Sekhmet.

  • Oltre agli oggetti appena descritti, sono circa 200 i reperti che compongono la sezione egizia. Ce ne descriverebbe alcuni per lei più particolari o interessanti?

Ci sono due sarcofagi piuttosto importanti.

Uno si conserva praticamente intero, con il fondo della cassa e il coperchio, e decorazioni all’interno e all’esterno. L’altro sarcofago è parzialmente conservato; resta, infatti, solo il fondo della cassa, ma è anch’esso ricchissimo di decorazioni.

Per questo motivo, l’egittologo che riesce a leggere i geroglifici non ha alcun problema a capire tutto l’apparato che questi due sarcofagi hanno dal punto di vista testuale. Gli altri possono comunque apprezzare la bellezza delle decorazioni; sono, infatti, tutti colorati e quindi due pezzi che hanno un notevole impatto visivo.

Abbastanza significativo, anche se meno appariscente, è un piccolo sarcofago di Osiride verdeggiante.

È uno di quei sarcofagi di piccolissime dimensioni (sarà lungo circa 40 cm), dentro cui veniva conservata della terra con dei semi che, una volta innaffiati, vegetavano.

Era, quindi, un modo per rievocare la morte e la rinascita di Osiride, perché legato al ciclo della vegetazione e quindi alla vita e alla morte.

  • Alcuni manufatti della collezione egizia sono stati oggetto di una revisione scientifica, frutto della collaborazione con il Progetto Egitto-Veneto. Potrebbe dirci qualcosa in più sulla revisione e, soprattutto, sul Progetto stesso?

La revisione scientifica risale a circa 10 anni fa ed il Progetto, che l’ha resa possibile, è nato in seno all’Università Cà Foscari di Venezia e all’Università di Padova, in collaborazione con la Regione Veneto.

E’ un Progetto che vede due atenei che hanno unito le forze e messo in piedi una squadra di egittologi che hanno censito, in tutta la regione Veneto, il patrimonio egizio o egittizzante conservato in tutte le istituzioni pubbliche, ma anche in realtà private.

E’ stato fatto un censimento generale, scoprendo che c’è moltissimo materiale di questo tipo (anche non conosciuto), che è stato poi schedato in una banca dati regionale. Avendolo fatto degli egittologi è stato anche inquadrato, devo dire in maniera molto puntuale, dal punto di vista scientifico.

Quindi, è stata un’occasione per capire l’entità e l’importanza di questo patrimonio diffuso, e per lo più poco noto, che abbiamo nel Veneto.

Una parte del Progetto si è concentrata anche qua nel nostro Museo, perché appunto i nostri 200 pezzi sono stati oggetto di questa catalogazione che, di conseguenza, ha portato a fare anche un parziale riallestimento delle due sale che ospitano la collezione.

Sono stati tirati fuori dal magazzino alcuni pezzi che prima non erano esposti e di cui si è invece ravvisata l’importanza e li abbiamo quindi messi in vetrina; non solo, ma è stata data, all’interno delle vetrine stesse, una maggiore importanza ad alcuni pezzi che forse prima erano poco valorizzati o che, cronologicamente, non erano posizionati nel punto più idoneo. Alla luce dei dati scientifici, si è quindi rivista la situazione allestitiva che la catalogazione ci ha permesso di acquisire in maniera anche puntuale.

  • Siete o siete stati coinvolti con vostri gruppi di ricerca in progetti nazionali o internazionali in Egitto?

Come Museo Archeologico no; è l’Università di Padova, invece, ad avere dei gruppi di ricerca che operano in Egitto.

Come Museo diventa difficile avere dei gruppi di lavoro che operino oltretutto così a distanza.

Noi lavoriamo prevalentemente tra istituzioni italiane e studiosi italiani. Inoltre, le porte del Museo sono aperte a chiunque abbia, per ragioni di studio, interesse a visitare i nostri pezzi.

Abbiamo agevolato in ogni modo ricerche di tutti i tipi, da quelle di dottorato a ricerche per tesi di laurea.

Per ragioni di studio si lavora molto anche con altre realtà.

  • Nonostante il periodo piuttosto complicato per la cultura ed i musei in particolare, potrebbe dirci se e quali sono i progetti futuri in programma riguardo la sezione egizia del Museo Archeologico di Padova?

Sinceramente, avevamo lavorato moltissimo sulla mostra “L’Egitto di Belzoni”, inaugurata giustappunto un anno fa, alla fine di ottobre del 2019, che sarebbe dovuta durare fino a giugno del 2020.

Purtroppo, il Covid si è abbattuto in maniera drammatica su questa bella iniziativa che era partita oltretutto con grande entusiasmo, per cui abbiamo avuto fin dall’apertura molto interesse da parte del pubblico.

La pandemia c’ha impedito di tradurre questa partenza così importante in una conclusione altrettanto importante. Purtroppo, lì si è concluso il percorso. Adesso, però, noi lavoriamo e lavoreremo anche in futuro su Belzoni.

Perché è un padovano che a Padova non era molto conosciuto; addirittura neanche dopo la mostra a molti è nota l’importanza del personaggio.

Si resta ogni volta stupiti del fatto che non faccia breccia nel grande pubblico perché, paradossalmente, Belzoni è noto indirettamente, attraverso Indiana Jones!

Quando, infatti, George Lucas ha inventato questo personaggio in realtà l’ha fatto a partire dalla lettura dell’autobiografia di Belzoni. Quindi, Indiana Jones in qualche modo è la trasposizione cinematografica di un personaggio realmente esistito.

Ora, se Indiana Jones lo conoscono tutti, Giovanni Battista Belzoni lo conoscono solo quei pochi che si sono imbattuti nella sua vita e sono rimasti folgorati da quello che questo personaggio ha fatto.

L’obbiettivo con cui avevamo messo in piedi la mostra era proprio quello di far conoscere un padovano che ha fatto delle cose sensazionali, che ha scoperto luoghi che noi oggi andiamo a vedere, ma che fino al 1815 l’Europa ignorava che esistessero.

In futuro, intendiamo lavorare ancora molto su questo personaggio; ora ci saranno altre ricorrenze che ci permetteranno di tornare sull’argomento, ma ancora non so se con un’altra mostra internazionale.

La precedente, infatti, era una mostra che aveva coinvolto istituzioni importanti, quali il Louvre, il British, la British Library, l’Egizio di Torino, il Museo di Bologna, i Musei Vaticani. Abbiamo dialogato con l’Italia e con le maggiori istituzioni europee per creare questo percorso espositivo.

Io spero che quella sia stata la premessa per uno sviluppo anche in futuro sulla figura di Belzoni.

Certo, il Covid ha rovinato tutto questo. Abbiamo lavorato un terzo di quello che avremmo potuto fare, forse anche meno, perché abbiamo perso mesi preziosi di esposizione. Quando poi il lockdown è finito e abbiamo riaperto non è stato possibile farlo con le premesse precedenti: i condizionamenti con gli spostamenti fra regioni, che c’erano all’inizio, il contingentamento del pubblico che c’è stato fino alla fine e che c’è tutt’ora.

Purtroppo, avevamo lavorato per fare di Belzoni un personaggio noto, ma ci siamo riusciti solo in parte.

Non per colpa nostra, ma per la situazione che si è creata.

Resta, quindi, un progetto non del tutto portato a termine e che ci indurrà a riprenderlo più avanti con modalità che valuteremo.

In collaborazione con Egittolizzando a Montefiascone

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