Alta Moda dall’Antico Egitto: l’abito a Rete di Perline

Alta Moda dall’Antico Egitto: l’abito a Rete di Perline

La moda, in antichità, era importante quanto lo è al giorno d’oggi, con la differenza che la maggioranza delle persone non aveva accesso a interi vestiti realizzati con precisi fini estetici. L’élite dell’Antico Egitto vestiva con ricchi abiti che rispecchiavano il clima e le dinamiche sociali del paese africano, e uno degli abiti maggiormente desiderati dalle nobili era certamente l’abito a rete di perline. Gli storici erano a conoscenza di questo tipo di abbigliamento da lunghissimo tempo, ma fu soltanto negli anni ’20 del XX secolo che vennero trovate testimonianze archeologiche a sostegno delle tesi storiche.

Sotto, l’abito di Perline risalente alla quarta dinastia, regno di Cheope, fra il 2551 e il 2528 a.C. Il reperto è conservato al Museum of Fine Arts di Boston. L’abito fu trovato nella piana di Giza, nella tomba G 7440 Z. Gli scavi furono condotti nel 1927 dalla Harvard University e l’abito fu assegnato al museo dal governo egiziano: Gli abiti a rete venivano realizzati con migliaia di perline disposte a losanga, ma non si è sicuri del loro effettivo impiego. Data la fragilità e la complessità della realizzazione è difficile immaginarli come oggetti di uso quotidiano, mentre è più naturale pensarli adatti a cerimonie o eventi di grande importanza.

Se le donne dell’èlite della società dell’Antico Egitto potevano permettersi un intero abito di perline, le sacerdotesse portavano i copricapi con le perline, mentre le donne della classe agiata (oggi diremmo borghese, ma il paragone è fuorviante) avevano degli accessori come collane da indossare sopra la tunica nelle occasioni di festa. Le donne più povere non dovevano rinunciare del tutto alle perline, ma potevano permettersi soltanto una cintura da stringere attorno alla vita.

Gli abiti di perline potevano esser realizzati in due modi. Il primo prevedeva che le perline venissero cucite direttamente sulla tunica di lino, rimanendo fissate alla stoffa sottostante. Il secondo metodo prevedeva di realizzare l’abito direttamente su una rete, che poi veniva probabilmente indossata sopra un abito di lino. Alcuni di questi abiti, come quello in possesso del Museum of Fine Arts di Boston, sono realizzati impiegando perline di maiolica blu e blu-verde, che rappresentavano un’imitazione del turchese e dei lapislazzuli. Grazie alle evidenze nelle raffigurazioni artistiche conosciamo l’impiego degli abiti di perline durante tutto il periodo dell’Antico Egitto. Una statua della Dea del cielo, Nut, risalente al III millennio a.C., mostra la divinità avvolta da un indumento che assomiglia moltissimo a un abito a rete.

Oltre che nell’arte figurativa le testimonianze degli abiti a rete si trovano anche nella letteratura. Nelle storie note come “I Racconti di Re Cheope” – IV Dinastia, 2589/2566 a.C. – (noti anche come i racconti dal papiro di Westcar), in particolare ne “La storia del gioiello verde”, si legge dell’abito:

La storia è raccontata da un figlio di nome Baufra, ambientata durante il regno di suo nonno Sneferu. Il re è annoiato, e il suo principale lettore Djadjaemankh gli consiglia di radunare venti giovani donne e di usarle come rematrici per navigare intorno al lago del palazzo. Sneferu ordina la fabbricazione di venti bellissimi remi e dà alle donne dei vestiti di rete da utilizzare durante la navigazione. Una delle ragazze però perde un amuleto – un ciondolo di pesce fatto di malachite – a lei così caro che non accetterà in compenso nemmeno un pezzo del tesoro reale, e fino a quando non le verrà restituito né lei né nessuna delle altre ragazze accetteranno di remare. Il re si lamenta e Djadjaemankh riesce a far alzare le acque per consentire il recupero dell’amuleto.

Gli antichissimi abiti sono stati trovati nelle sepolture di antichi nobili egizi. Ad esempio l’abito del Petrie Museum of Egyptian Archaeology, a Londra, proviene da una tomba della V o VI dinastia di Qau, un’antichissima città dell’Alto Egitto, e risale al 2.400 a.C. circa. L’abito venne rinvenuto nel 1923, e si pensa appartenesse a una ballerina per le conchiglie legate ai lati dell’indumento, che producono un suono ritmico.

Una volta che l’abito è stato interamente ricomposto è risultato però discretamente pesante, difficilmente indossabile da una persona minuta che avesse dovuto muoversi sinuosamente. La sua reale funzione è quindi controversa, anche se è stato suggerito che potesse essere semplicemente un abito funebre.

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